In cerca di fiducia

Le elezioni, il governo, il Pri

di Saverio Collura

L’analisi del risultato elettorale è stata espletata da più fonti ed in più occasioni, con un’indubbia conclusione: rispetto al 2008 il PdL ha perso circa 16 punti percentuali, pari ad oltre 6 milioni di voti, il PD di punti ne ha persi circa otto, pari a 4 milioni di voti; in sostanza una vera catastrofe. Mai prima d’ora in un paese democratico una forza politica di maggioranza relativa (il PdL) aveva subito una così pesante perdita di consensi. Se la riflessione sul voto è archiviata, molto complessa appare la prospettiva della formazione di un governo che possa riscuotere la fiducia del Senato, stante la maggioranza consolidata del PD alla Camera dei Deputati.

Le due strade sino ad ora prospettate, pur se numericamente percorribili, appaiono politicamente non sostenibili, e quindi non praticabili. L’auspicio di Bersani di un governo sostenuto da una maggioranza PD – M5S non può concretizzarsi a causa della forte contrapposizione che caratterizza la strategia costituzionale-istituzionale dei due soggetti che dovrebbero dar vita alla maggioranza al Senato: il M5S sostiene l’utopia della democrazia diretta, da qui la richiesta di sterilizzare l’articolo 67 della costituzione (autonomia dei parlamentari, senza vincolo di mandato) ed il disconoscimento di qualsivoglia mediazione di organismi rappresentativi (partiti, strutture statutariamente organizzate ecc.); il PD è un convinto assertore del sistema parlamentare rappresentativo, che si basa sull’azione positiva dei partiti come soggetti attivi della mediazione della vita politica. Il modo brutale con il quale Grillo respinge la proposta di coinvolgimento avanzata da Bersani non è quindi frutto di un suo emotivo comportamento, bensì appare come una razionale conseguenza di una scelta di fondo, del tutto incompatibile con altri disegni politici. Desta meraviglia che il PD non voglia cogliere questo dato oggettivo e continui, vanamente, nel suo intento di coinvolgimento del M5S.

Altrettanto problematica appare la soluzione prospettata dal PdL subito dopo i risultati elettorali (oggi quel partito sembra sempre più ai margini della politica per le difficoltà personali del suo leader), che indicava un governo di emergenza PD – PdL, forse (c’era una certa ambiguità) con la guida di Bersani. Questa ipotesi si è scontrata con la forte e conclamata avversione del PD, che considera impraticabile, pur in una situazione emergenziale, un’alleanza con il partito di Berlusconi, per le radicali distanze sulle questioni del rapporto con l‘Unione Europea, sulla gestione del debito pubblico e sulle politiche fiscali e di bilancio. Gli eventi recentissimi che riguardano gli aspetti giudiziari-processuali di Berlusconi e le reazioni conseguenti dei parlamentari del PdL hanno vanificato ogni restante eventuale ipotesi di compromesso programmatico, anche se di breve periodo.

La proposta formulata dalla direzione nazionale del Pri per un Governo del Presidente diventa, pertanto, la sola strada percorribile per arrivare alla formazione di un esecutivo che possa conseguire la fiducia al Senato, dando per scontato l’ottenimento alla Camera dei Deputati. Peraltro uno scioglimento immediato, anche del solo Senato, appare impercorribile, sia perché siamo in regime di semestre bianco, e nel contempo perchè l’Italia deve far fronte, entro il prossimo mese di aprile, ad un preciso impegno con la UE: la presentazione del Programma di Stabilità, e del Program-ma Nazionale di Riforma, che sono due documenti comunitari essenziali nel quadro del progetto sulle "Strategie Europee 2020". Mancare questi impegni potrebbe comportare la marginalizzazione del nostro Paese rispetto alle linee e prospettive di sviluppo strategico della Comunità europea.

Il Governo del Presidente potrebbe avere il prestigio necessario per far fronte agli impegni europei ed internazionali e, nel contempo, fornire ai mercati una chiara indicazione di politica economica e finanziaria; elemento questo essenziale nella prospettiva delle scadenze e dei rinnovi delle quote del debito pubblico (circa 200 miliardi nel 2013). E’ comunque evidente che un tale Governo potrebbe non avere davanti a sé un orizzonte temporale esteso e quindi, salvo positivi comportamenti delle forze parlamentari, potrebbe riproporsi, nell’arco dei prossimi dodici mesi, la prospettiva di un eventuale ritorno alle urne .

Questo dato pone immediatamente la questione del Pri, e della difficoltà incontrata nel percorso per la sua presenza in Parlamento nella tornata elettorale recente. Bisogna individuare con tempestività un’efficace strategia che ci consenta, in caso di elezioni a breve, di sanare questo"vulnus" con una forte e caratterizzante azione politica. Ciò credo che possa indurci ad escludere la ripetizione di tentativi già falliti, e fare tesoro, invece, di tutto quanto ha prodotto effetti di novità e di attenzione all’interno del movimento repubblicano, liberal-democratico. Ma abbiamo anche la necessità, per rilanciare il Pri, di portare avanti con sollecitudine gli obiettivi fissati dal documento votato dalla direzione nazionale del 4 marzo scorso: "riaffermazione della costituente liberal-democratica, unita ad una profonda riflessione circa l’adeguamento del partito alle nuove esigenze politico-culturali, alle nuove realtà operative, ai nuovi modelli di organizzazione sociale". Sono obiettivi vitali per far riprendere al Pri il suo peculiare ruolo politico, specialmente nel momento in cui più urgente appare la necessità di procedere alla rifondazione e rigenerazione della Repubblica italiana.

La mia preoccupazione è che il partito, ancora tutto ripiegato su se stesso e condizionato da "beghe di bottega", possa perdere di vista  gli obiettivi reali, la tempestività e la serenità della riflessione, la necessità vitale del rilancio del Pri. Ritengo che alcune iniziative vadano assunte quasi "ad horas" se vogliamo conseguire i risultati prima indicati e rimettere in moto il nostro disastrato, ma pur sempre necessario, sistema operativo.